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Il quartiere residenziale delle Palazzin ...

  • Viale Alfa Romeo, 80038 Pomigliano d\'Arco NA, Italia
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Description

Il complesso urbano ed industriale di Pomigliano costituì la conclusione di una lunga serie di interventi urbanistici ed architettonici realizzati nel periodo fascista, quando in tutta Italia era diffusa la pratica edilizia di costruire villaggi e quartieri operai, città di nuova fondazione rifondazione,oltre ad esempi di sventramenti, diradamenti, borghi e comuni rurali, ciascuno motivato da precise esigenze non solo residenziali, ma anche politiche e propagandistiche. Le trasformazioni architettoniche e urbanistiche a Pomigliano erano infatti volte a sancire la presenza dello Stato fascista in un ’area, com’era quella di Napoli e provincia, che annoverava intellettuali di spicco in aperto contrasto con l’ideologia fascista.Dopo la costruzione dell’Alfa Romeo, e in seguito all’approvazione del piano regolatore nel 1942, cominciò la realizzazione dell’insediamento urbano a Pomigliano per ospitare le maestranze.La tecnica urbanistica razionalistica adottata dal fascismo prevedeva una rigida lottizzazione a scacchiera basata su una sovrapposizione di linee parallele e perpendicolari (cardo e decumano). Nel caso di Pomigliano non si può parlare di villagio operaio di matrice ottocentesca, né di città sociale, e tanto meno la città nuova giunse mai ad inghiottire il nucleo originario, fino alla sua identificazione nella città-fabbrica, come accadde a Torino. Il quartiere residenziale di Pomigliano era l’insediamento urbano costituito da quegli edifici che fornivano alloggio ad operai ed impiegati. Analogamente a quanto venne fatto a Colleferro, da noi vennero realizzati tre tipi di residenze: le ville per dirigenti,le case per gli impiegati e gli alloggi per le maestranze. La zona residenziale era ben distinta e separata dal complesso industriale e dall’antico nucleo urbano, più che per necessità di diradamento edilizio, per tutelare i residenti in caso in incursioni aeree.Nella vasta area destinata alle abitazioni, posta a sud rispetto all’insediamento industriale, si individuano immediatamente i quattro isolati che furono costruiti per primi nel 1940. Essi sono edifici in linea, con una consistenza di 600 alloggi, di cui 552 per operai, ai quali era associato nella corte un orto individuale di circa 90 m², vera espressione della ruralità. L’uso proficuo dell’orto domestico,chiamato giardino, nel dopolavoro veniva ritenuto un forte legame d’affezione tra inquilino e luogo.Il rapporto verde-residenza diventava poi una delle componenti essenziali del progetto della nuova idea di città, che in generale si stava diffondendo in Europa. Le città giardino non solo rispondevano alla necessità di offrire un’alternativa estetica alla città storica, ma assicuravano anche la massima razionalizzazione nell’uso del suolo con minimi costi di urbanizzazione. L’intervento di Pomigliano, nello specifico, è paragonabile, sia per tipo-morfologia che per le dimensioni del progetto, ai famosi isolati a corte costruiti in Olanda e in Germania negli anni venti e trenta. Il fulcro del nuovo quartiere, chiamato Palazzine, era ed è rappresentato dall’incrocio degli assi stradali principali, viale Alfa e via Terracciano; il corpo degli edifici che costituivano gli alloggi operai si estendeva parallelamente a viale Alfa. Questo gruppo di abitazioni comprendeva soluzioni collettive, di tipo lineare, con corpi di fabbrica rettilinei e disposti a margine di strada, in numero di otto elementi paralleli, raggruppati a due a due, con il lato posteriore di ciascun elemento rivolto su una\nzona verde adibita ad orto. Gli appartamenti per gli impiegati erano posti a fronte di ciascuno degli otto corpi di fabbrica e differivano dagli alloggi destinati agli operai non solo per la posizione di testata, ma anche per la composizione interna e le scelte stilistiche adottate.Ciascun fabbricato era composto di soli tre piani e prevedeva dieci ingressi. I portali di ingresso possono essere considerati l’unica concessione artistica che sottrae le Palazzine al rigore estetico elementare, grazie alle formelle di terracotta, di autore sconosciuto, collocate sopra ogni portale e raffiguranti operai ritratti nei momenti salienti del loro lavoro in fabbrica.A Pomigliano, la zona riservata, che accoglieva le abitazioni per tecnici specializzati e le ville per dirigenti, era separata fisicamente secondo un ordine gerarchico, funzionale sia all’organizzazione politica sia a quella aziendale. Tale ordine non solo era saldamente rispettato, ma appariva evidente a tutti, senza tuttavia generare umiliazioni presso i ceti più modesti.L’architettura razionalistica fascista fu utilizzata in particolare per la costruzione degli edifici che rivestivano una funzione sociale: il museo, il nido, l’albergo, la scuola aziendale, il palazzo degli uffici, la nuova stazione della Circumvesuviana, già costruita nel 1936, e le attrezzature sportive e ricreative per i dipendenti. L’architetto milanese Alessandro Cairoli, autore del piano regolatore di Pomigliano del 1939, proponeva soluzioni stilisticamente eterogenee, che guardavano alla scuola tedesca per l’impianto urbano del quartiere residenziale, a quelle costruttiviste per le testate delle case degli impiegati e per l’asilo nido e al Novecento romano per la scuola aziendale.Dopo il secondo conflitto mondiale s’interruppe la realizzazione della città industriale, unico modello di colonia industriale del fascismo nel Meridione.Attualmente l’impianto fascista di Pomigliano è riconoscibile solo attraverso il tessuto viario urbano e attraverso le poche tracce che gli edifici rimasti conservano della loro originaria caratteristica fisionomia, oggi nascosta dal fitto tessuto edilizio che gli si è costruito intorno. (Tratto da Storia di Pomigliano d'Arco - Basile , Esposito)

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