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Babà al rum

  • Napoli, Italia
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Stanislao era diventato re a meno di trent’anni, grazie all’appoggio di Carlo XII di Svezia. Qualche anno dopo (era il 1735) Pietro il Grande, Zar di tutte le Russie, si dimostrò molto più grande del re svedese e di quello polacco: insieme ai suoi alleati, la Prussia e l’Austria, mosse loro guerra, e li sconfisse. Stanislao però non era uno qualunque. Era il suocero di Luigi XV di Francia, che aveva sposato sua figlia Maria. Per questo motivo, dopo averlo detronizzato, come contentino gli diedero il Ducato di Lorena. Lui non ne fu troppo contento, ma si adeguò. Privato del Regno di Polonia, e costretto in un quel piccolo regno privato, Stani si annoiava. Siccome c’aveva un sacco di tempo libero, si circondò di filosofi e scienziati, e si mise a studiare. Studia che ti studia, finì per mettere a punto un programma di collaborazione internazionale e di integrazione europea: la prima versione della UE, a memoria d’uomo. Sulla carta, il progetto era splendido, ma l’ex monarca sapeva di non avere alcuna possibilità di attuarlo: era senza corona, e quindi senza alcun peso. Questo stato di cose gli dava molta amarezza. Per combatterla, Stanislao aveva bisogno tutti i giorni di qualcosa di dolce. Accontentarlo,però, non era facile: i pasticcieri lorenesi dovevano lambiccarsi continuamente il cervello per preparargli qualcosa di nuovo. Ma di fantasia ne avevano pochina, e così due giorni su tre al povero ex sovrano veniva servito il “kugelhupf”, un dolce tipico di quel territorio, fatto di con farina finissima, burro, zucchero, uova e uva sultanina. All’impasto veniva aggiunto lievito di birra, fino ad ottenere una pasta soffice e spugnosa. Stanislao il kugelhupf non lo poteva soffrire. Non che fosse cattivo: ma era, come dire, un po’ fesso, privo di personalità. E poi era asciutto, ma così asciutto che si appiccicava al palato. E non gli piacque nemmeno quando fu bagnato con una salsa di vino Madera, zucchero e spezie. Spesso non l'assaggiava nemmeno. Poi tornava ai suoi progetti per un mondo più giusto, senza vincitori né vinti (così quei maledetti che l’avevano sbattuto laggiù sarebbero stati serviti). Insomma, Stanislao Leszczinski viveva in una prigione: dorata, ma pur sempre una prigione. E’ comprensibile perciò che ogni tanto, per non pensare al passato, che gli faceva tristezza, e al futuro, che gli faceva paura, alzasse un po’ il gomito. Fedele ai suoi ideali di uguaglianza, beveva di tutto: a cominciare dai vini della Mosa e della Mosella, orgoglio della Lorena. Ma poichè da quelle parti gli inverni sono lunghi, freddi e nevosi, spesso gli ci voleva qualcosa di più forte. E lui l’aveva trovato: era il rhum, un’acquavite derivata dalla canna da zucchero, importata dalle Antille. Era buono, era tosto, e quindi era proprio quel che ci voleva. Un giorno Stanislao, che aveva già ingollato vari bicchierini di rhum, si accorse di avere una gran voglia di un buon dolce. Di qualcosa di veramente speciale. Perciò, quando il suo maggiordomo gli piazzò sotto il naso l’ennesima porzione di kugelhupf, l’allontanò rabbioso.Poi impadronitosi del piatto che il servitore teneva timoroso tra le mani, lo scagliò sulla tavola, lontano da sé. Il piatto terminò la sua corsa contro la bottiglia di rhum posata lì accanto, e la rovesciò. Prima che qualcuno potesse intervenire a risollevarla, il liquore aveva completamente inzuppato il kugelhupf. Sotto gli occhi ancora corrucciati di Stanislao ebbe luogo una straordinaria metamorfosi: la pasta lievitata dell’insipido dolce lorenese, per solito di colore giallastro, assunse rapidamente una tonalità calda, ambrata, e un profumo inebriante comincò a diffondersi intorno. Nella sala da pranzo c’era un silenzio che si sarebbe potuto tagliare col coltello. Invece Stanislao, sotto lo sguardo stupefatto della servitù, sollevò il cucchiaino d’oro (la mano gli tremava un po’), prelevò qualche frammento di questa Chimera: di quest’ibrido che si era materializzato sotto i suoi occhi, e lo portò alla bocca. Quel che provò lo sappiamo. Lo abbiamo provato tutti la prima volta che lo abbiamo assaggiato il babà. Perché nessuno può dimenticare il primo istante in cui si è trovato faccia a faccia con Lui (nessuno, tranne i napoletani: in genere, per loro questo momento arriva quando sono troppo piccoli per ricordarsene). Fu questa, una giornata memorabile per l’umanità. All’invenzione casuale del dolce inventato dal Re polacco tra le brume della Lorena: mancava il nome.Fu sempre Re Stanislao a dedicare questa sua creazione ad Alì Babà, protagonista del celebre racconto tratto da “ Le Mille e Una Notte”. Libro che il sovrano amava leggere e rileggere nel suo lungo soggiorno a Luneville . Il babà da Luneville arrivò presto a Parigi,alla pasticceria Sthorer. Qui in tanti lo conobbero e lo apprezzarono. A portarlo successivamente a Napoli,dove assunse la forma definitiva assai caratteristica (quella di un fungo) furono i “monsù”,chef che prestavano servizio presso le nobili famiglie napoletane. E da allora il babà elesse Napoli a proprio domicilio stabile. Un’ultima considerazione: nella cucina napoletana esiste più d’un dolce che – per il suo sapore – “po’ ghì annanz’o Rre”: può essere presentato al re. Ma il babà è l’unico dolce che dinanzi al Re non c’è andato: c’è nato.

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