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Affreschi di Renoir

  • 89818 Capistrano VV, Italia
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Arte, Teatri e Musei
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Nel 1993 rimbalzò alle cronache la notizia del ritrovamento di alcuni affreschi “ritoccati” nientemeno che da Pierre-Auguste Renoir nella chiesa madre di Capistrano, un paese situato nell’entroterra delle Serre calabresi, in provincia di Vibo Valentia. Il fatto, che inizialmente sembrò suscitare parecchio interesse da parte dei media e attirò nel piccolo centro montano molti studiosi ed esperti d’arte, i quali non mancarono di esprimere i più svariati commenti e giudizi, fu presto dimenticato, lasciando in sospeso ogni giudizio definitivo riguardo l’effettivo impegno del grande impressionista. Mario Guarna, autore del recente volumetto Gli affreschi di Renoir a Capistrano. Un mistero svelato (edizioni Ibiskos Ulivieri, 84 pagine, 15 euro), oggi riapre la questione e, offrendo per la prima volta un’esauriente e minuziosa analisi storica e artistica, tenta di colmare quella lacuna. Tutto ebbe inizio nel 1966, quando tre amici, i quali avevano letto nella biografia scritta dal figlio Jean che Renoir, durante il suo viaggio in Italia (intrapreso per studiare da vicino gli antichi maestri), aveva soggiornato nella zona delle Serre, ponendo mano agli affreschi di una chiesa gravemente danneggiati dall’umidità, si misero alla loro ricerca. Ad un certo punto essi si trovarono di fronte all’opera con il Battesimo di Gesù nel Giordano che decora il muro accanto al portone d’ingresso all’interno della chiesa madre di Capistrano, opera che sembrava palesare somiglianze nette con lo stile del pittore francese. L' affresco venne allora ripulito, e la scoperta fu per la prima volta oggetto di interesse da parte della stampa, quantomeno a livello regionale. Nei primi anni Novanta, durante i lavori di restauro della chiesa, furono poi riportati alla luce altri due affreschi fino ad allora nascosti dalla calce, Noli me tangere e Cristo e la Samaritana. Dopo il clamore che nel 1993 seguì il restauro del Battesimo di Gesù di cui si accennava sopra, nessuno ebbe ad occuparsi in maniera sistematica dei tre affreschi, che invece, stando a quanto sostiene nel suo studio Guarna, sarebbero stati tutti oggetto di un intervento di ripristino da parte di Renoir. L’autore della ricerca afferma che l’artista era giunto nel piccolo centro calabrese su consiglio di un sacerdote conosciuto a Napoli, originario di quelle parti. Il prete gli fece avere una lettera di raccomandazione del vescovo, lettera che gli avrebbe consentito di ricevere ospitalità nelle case parrocchiali della zona. Il pittore francese, con un viaggio a dir poco avventuroso, compiuto per mare su una barca di pescatori e per terra su carrozze trainate da muli, a piedi, e pure trasportato a braccia da alcune contadine che gli permisero così di attraversare un fiume ingrossato dalle forti piogge invernali, raggiunse Capistrano nel dicembre del 1881. Qui egli trascorse un periodo di “villeggiatura” dipingendo in estemporanea paesaggi, lavandaie, contadini e fanciulle. Aveva allora quarant’anni e alle spalle tre mostre degli impressionisti e alcune esposizioni al Salon, ma al di fuori di Parigi era ancora un perfetto sconosciuto. Colpito e grato per la generosa ospitalità dei capistranesi, decise di ricambiare le loro gentilezze acconsentendo alla richiesta del sindaco di intervenire per recuperare gli affreschi della chiesa, che l’umidità stava danneggiando irrimediabilmente. Pur non essendo molto esperto di pittura a fresco o murale, sebbene vi si fosse già cimentato in passato decorando le pareti di svariati caffè parigini (lavori dei quali però non si è conservata traccia), egli si recò da un muratore del paese, chiese in prestito impalcature e polveri colorate e si accinse al rifacimento dei dipinti deteriorati. Guarna offre un’analisi puntuale delle parti “ricostruite” ancora oggi osservabili, mettendole poi a confronto con altre opere del pittore, a definitiva dimostrazione della loro paternità. Da tale analisi emerge innanzitutto il fatto che Renoir dovette intervenire in maniera massiccia in alcune zone, rifacendo completamente certe figure, come quella del Cristo al centro dell’affresco del Battesimo o quella della Maddalena nel Noli me tangere, mentre in altri momenti preferì sovrapporre alle parti più deteriorate elementi di sua invenzione, come la tunica rossa drappeggiata intorno al corpo del Battista. Inoltre si può facilmente registrare la presenza di alcuni stilemi tipici della pittura impressionista, come l’abbandono del chiaroscuro e l’utilizzo dei colori per la resa delle ombre. Lo studio si sofferma poi su alcuni particolari, aprendo il confronto con diversi celebri dipinti di Renoir. Nel Battesimo, per esempio, i due angeli che compaiono nella parte destra della composizione vengono avvicinati, sia per quanto riguarda la posa che per la fisionomia, a Paride ed Ermes effigiati ne Il Giudizio di Paride, mentre la figura di Gesù, caratterizzata dall’aggraziata postura, vagamente femminile, pare rimandare in modo netto a quella della Bagnante nel fiume; il volto invece mostra una straordinaria somiglianza con quello di Paul Auguste Lhote ritratto nel Ballo in campagna. In questo stesso affresco, inoltre, vi sono analogie tra il San Giovanni Battista e un bozzetto che Renoir eseguì durante una visita al Museo Archeologico di Napoli: molto simili sono le fisionomie e identico il colore delle tuniche, e una certa attinenza riguarda il gioco di luce ed ombre presenti nelle due composizioni. Passando al Noli me tangere, spicca la figura della Maddalena, che tra quelle dei tre affreschi capistranesi è secondo l’autore la più vicina all’ideale della pittura di Renoir: “Come la Bagnante bionda ha forme piene ed opulente, occhi grandi, naso corto, labbra carnose e una lunga chioma bionda. Una pelle che ‘trattiene la luce’, ispirando quelle delicate sfumature iridescenti che resero famoso l’artista francese”. Inoltre, il tocco pittorico e le pieghe del mantello sono molto simili a quelli della gonna della Donna con la lettera. Decisamente singolare è poi l’abbigliamento della Samaritana nell’ultimo affresco; a differenza dell’iconografia classica, che la vede di solito effigiata avvolta in una tunica e con un drappo bianco intorno al capo, qui la donna è ritratta in foggia moderna e con un vezzoso nastro fra i capelli, con lo stesso gusto di vestire ed ornarsi in voga nella Francia dell’Ottocento, che ritroviamo per esempio nel ritratto di Marie Mürer. Se l’analisi offerta da Mario Guarna pare convincente, purtroppo le ingiurie del tempo non hanno, da parte loro, finito di minacciare le pareti della chiesa di Capistrano: e ancora una volta l’umidità rischia di far danno, facendo scomparire, se non si prenderanno celeri provvedimenti, pure il frutto di quel “restauro d’autore”. (stilearte.it)

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