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Altilia - Saepinum

  • 86017 Altilia I CB, Italia
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In una lettera del 14 marzo 1846 si parla diAltilia- Saepinum in questi termini: “Tutto l’agro è ancora intatto, tutte le porte della città, una di esse ha ancora l’arco intero… Il teatro in Altilia è ben conservato, la strada principale è ancora lastricata da enormi pietre, è completa, ci sono molti mucchi di pietre delle quali è riconoscibile la loro provenienza da edifici e templi e, quanto altro sta nella terra è indescrivibile! Macerie ed iscrizioni sono sparse dovunque… come dappertutto vi sono colonne. È questo un luogo unico!”. Fortunatamente Altilia è ancora un luogo unico nel Molise e poco è cambiato da quando la vide Theodor Mommsen, autore della lettera. Una piccola città romana, edificata nei primissimi anni del I sec. d.C., perfettamente conservata, seppure non completamente scavata. La città conservava, agli occhi del più grande classicista del XIX secolo, le caratteristiche tipiche di un luogo di rovina, così caro alla mentalità romantica dell’epoca, un luogo dove il presente lasciava spazio all’antico dove le abitazioni rurali, costruite appena un secolo prima lungo il decumano e sulla cavea del teatro, si sostenevano grazie alle pietre lavorate dai romani. Da sempre luogo di passaggio, la città fu edificata a valle di una fortezza sannita che già presidiava il percorso tratturale che da Pescasseroli, in Abruzzo, arrivava al pugliese Candela. Le mura e le torri della città, fatte costruire dai figli adottivi di Augusto, Tiberio e Druso, delimitano un’area quadrangolare di circa 12 ettari, costituita dal cuore della vita pubblica: il foro, i resti della basilica, il tribunale, il comitium, la curia, il tempio e un’aula per il culto imperiale. Ma il fascino della città è racchiuso dai segni della vita quotidiana del passato: le fontane, la fullonica (a metà tra una lavanderia e una tintoria), il macellum (mercato della carne e del pesce), le terme, il teatro, le botteghe e le abitazioni. Entrando da porta Bovianum, l’unica che ancora conserva il suo apparato monumentale, con i due prigionieri germanici in catene, si percorre il decumano ancora dotato di basoli pedonali rialzati per non bagnarsi i piedi, proprio come a Pompei e si arriva nella piazza del foro da dove si può attendere, nei pomeriggi d’estate, il passaggio delle mucche che, come in una nuova transumanza, escono dalla città dopo aver pascolato sui prati che ricoprono le aree non scavate. La città romana è preceduta da un centro fortificato di epoca sannitica che sorge sulla montagna retrostante, detta di “Terravecchia”, espugnato dai romani nel 293 a.C., durante la terza guerra sannitica, ed in seguito a ciò abbandonato dalla popolazione che si sposta appunto a valle. Sceglie un luogo che è punto di incontro di due assi stradali che diventano il decumano e il cardo massimi della città: il tratturo Pescasseroli-Candela e quello trasversale che scende dal Matese e prosegue verso le colline della piana del Tammaro. Il centro ha una sua prima organizzazione nel II secolo a.C. e la massima fioritura in età augustea, quando vengono costruiti o restaurati i più importanti edifici della città (dal foro alla basilica, dal macellum alle terme). L’impianto urbano si mantiene vitale almeno fino al IV-V secolo d.C., quando si registra un nuovo fermento edilizio, probabilmente a seguito del terremoto del 346 d.C. che colpì il Sannio e la Campania. A questo periodo segue una forte crisi economica e demografica, aggravata dalle devastazioni della guerra greco-gotica (535-553 d.C.) riflessa nell’abbandono e crollo degli edifici più importanti del centro, nel restringimento dell’area abitata, nell’interramento del basolato del foro e nell’uso sepolcrale di alcune aree ai suoi margini. Nel 667 d.C. si ha la cessione di tutta la piana ad una colonia di Bulgari da parte dei duchi longobardi di Benevento e la ripresa dell’agricoltura per opera dei benedettini del monastero di S. Sofia di Benevento. La ripresa dura fino alla metà del IX secolo d.C. quando il territorio è minacciato dalle scorrerie dei Saraceni e la popolazione si sposta sulle cime che circondano la piana, alla ricerca di luoghi più sicuri, determinando la successiva nascita dei castelli. La popolazione della Sepino romana si sposta così nel Castellum Sepini, l’attuale Sepino, posto in montagna, in un luogo più sicuro e difendibile. La situazione rimane immutata fino all’arrivo dei Normanni, nella prima metà del XI secolo d.C., quando il territorio di Sepino, insieme a quello di Campobasso, diviene una delle baronie della Contea di Molise.

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