RSS   Help?
add movie content
Back

Palazzo Penne .. il Palazzo del Diavolo

  • Piazzetta Teodoro Monticelli, 80134 Napoli, Italia
  •  
  • 0
  • 570 views

Share

icon rules
Distance
0
icon time machine
Duration
Duration
icon place marker
Type
Palazzi, Ville e Castelli
icon translator
Hosted in
Italiano

Description

Il palazzo del diavolo è a Napoli: eccone la leggenda „ A farlo costruire fu Antonio Penne, segretario del re di Napoli Ladislao, nel 1409. La leggenda vuole che Penne, appena arrivato in città, s'innamorò di una ragazza. Questa – già corteggiata da altri – gli disse che lo avrebbe sposato se fosse riuscito a costruirle un palazzo in una notte sola. Fu così che Antonio Penne, per riuscire nell'impresa, chiese aiuto al diavolo, il quale naturalmente pretese in cambio la sua anima con tanto di contratto scritto. C'era una clausola però: Penne avrebbe ceduto la sua anima solo se il demonio avesse contato tutti i chicchi di grano che egli avrebbe sparso nel cortile del palazzo da costruire. A palazzo costruito, fu il momento della “prova”. Penne sparse nel cortile grano, ma anche pece: i chicchi di grano si attaccavano alle mani del demonio e questi non riusciva a contare. A quel punto il protagonista si fece il segno della croce, e questo gesto aprì una voragine nella quale il diavolo sprofondò. Un pozzo ora chiuso, ma ancora visibile a chi visita l'antico e meraviglioso palazzo rinascimentale partenopeo. Antonio di Penne (o Penne), proveniva dalla cittadina di Penne in Abruzzo, da famiglia borghese benestante. Fu segretario, consigliere particolare di re Ladislao d’Angiò Durazzo e “imperial notaro”. Le prime notizie certe si hanno sono del giugno del 1391 quando era segretario di re Ladislao; nel 1399 ottenne la nomina di compilatore di concessioni reali, nel 1403 è “pubblico apostolico imperiale notaro autorizzato alla compilazione dell’atto di procura del matrimonio tra il duca Guglielmo d’Austria e Giovanna Durazzo” (la futura regina Giovanna II). Talmente elevato era il suo prestigio a corte, che ottenne l’autorizzazione ad erigere il proprio monumento funebre in Santa Chiara, luogo esclusivo della nobiltà angioina, architetto il Baboccio, cui si attribuisce anche la costruzione del palazzo. Ancora oggi si può ammirare il monumento funebre, la struttura del baldacchino e le due colonne poggianti su leoni, mentre il sarcofago è posto nella seconda cappella a destra. Il palazzo Penne è l’unica testimonianza dell’architettura civile del periodo “angioino-durazzesco”. La scelta del luogo non fu casuale: il colle dell’età ducale, fornito di acque provenienti dal colle stesso, dall’aria salubre e lontano dai pericoli degli smottamenti alluvionali. Occorre inoltre a considerare che l’allora piano stradale esterno al colle era all’incirca 5 metri più sotto dell’attuale. Il declivio laterale alla costruzione è detto in napoletano “Pennino” (pendio): fu trasformato in fondaco, quindi chiamato “gradini di Santa Barbara”, e conduce nell’antichissima via Sedil di Porto prospiciente al mare, prima che la colmata degli aragonesi ne allontanasse le sponde. Il 1406 è l’anno della costruzione del palazzo, come lo si nota dalla lapide che sovrasta l’arco: “Ventesimo anno del regno di re Ladislao...” “XX anno regni regis Ladislai sunt domus haec facte nullo sint turbine fracie mille fluunt magni bistres centum quater anni” (appunto il 1406), col suggello di tre piccole penne; la dedica forma un sol blocco con lo stemma di casa d’Angiò-Durazzo. La concessione sovrana di fregiare il palazzo con le armi ed i simboli della casata reale, nonchè l’approvazione del blasone dei Penne, significò l’eterna protezione alla famiglia Penne. Osservando la facciata colpisce il rapporto cromatico tra i materiali: il bugnato di piperno che si alterna con la “pietra dolce di monte” indicata come “tufo piperino”, che in realtà è trachite: roccia compatta di colore cinerino-giallognolo. Il frontone è formato da archetti detti “gotici fiammeggianti” con la corona di re Ladislao nel primo ordine ed al di sotto, alternati, la Croce di Gerusalemme, lo stemma araldico di Maiorca (i pali) e le fasce di casa Durazzo. Nella cornice del bugnato si notano le “penne” simbolo del casato in tre file, sovrastate dai gigli angioini, in onore di re Ladidslao, in sette file, mentre la citata lapide comprensiva dell’arme angioina sovrasta l’arco ribassato detto a “giogo”. Nel centro dell’arco vi è una composizione che rappresenta lo spirito religioso e superstizioso di Antonio Penne: delle nuvole stilizzate dalle quali fuoriescono dei raggi (la luce divina) con due mani che reggono un nastro recante incisi due versi di Marziale (la preservazione dal malocchio)“Avi Ducis Vultu Sinec Auspicis Isca Libenter Omnibus Invideas Nemo Tibi” (Tu che non volti la faccia e non guardi volentieri questo (palazzo) o invidioso, invidia pure tutti, nessuno invidia te). Il portone è in quercia, nonostante sia stato manomesso nel corso dei secoli, è l’unico esempio di artigianato con punte in acciaio, borchie in ferro dette “peroni”, composta da archetti originali del periodo gotico. Superato il portone si accede ad un cortile interno, arricchito da un bel portico a cinque arcate con un grazioso giardino ancora oggi in parte conservato. Sul cortile, in origine, si affacciavano sedici scuderie per circa quaranta cavalli e sei carrozze, mentre il maestoso portico era adornato da statue di epoca romana, tutto poi rimaneggiato nel 1740 ed occultato dalla costruzione della casa del portiere e dai muri eretti a sostegno della sopraelevazione, così come “L’Arco Maestoso” del quale rimane solo la traccia nel muro. Nell'appartamento al primo piano vi erano due saloni, di cui uno affacciava sul porticato e l'altro su un cortile che immetteva nel parco tutti col soffitto affrescato. Nel cortile vi era una scala a chiocciola che conduceva alle cantine che si trovavano al disotto del livello del palazzo, di queste cantine sopravvivono quelle che si trovano sui gradini di Santa Barbara, dalla quale strada erano raggiungibili tramite due ingressi ora murati ed appena percepibili. Una scala di piperno portava al secondo piano, dove vi era una gran terrazza con la balaustra sempre di piperno. Nel 2002 la Regione Campania acquistò l'edificio per 10 miliardi di lire, da un privato che ne deteneva il possesso, e che lo aveva modificato in sede di un bed and breakfast. Il palazzo fu quindi ceduto in comodato d'uso nel 2004 all'Università Orientale. Il progetto prevedeva la realizzazione di un polo universitario con laboratori, sale per seminari e convegni, servizi per studenti. I lavori per il recupero dell'edificio non furono mai avviati per la presenza nell’edificio di occupanti abusivi.

image map
footer bg