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Grotta Azzurra

  • Via Grotta Azzurra, 80071 Anacapri NA, Italia
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Type
Natura incontaminata
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Italiano

Description

La Grotta Azzurra deve non la sua scoperta, ma la sua rivelazione alla passione romantica di due turisti tedeschi che visitarono Capri nel 1826: uno scrittore, Augusto Kopisch, e uno pittore, Ernesto Fries. Ma la Grotta era già nota ai Capresi con il nome di "Grotta di Gradola", dal vicino antico scalo di Gràdola e Gradelle, anche se, a causa non tanto della sua angusta entrata, quanto delle leggende di streghe e di mostri che la popolavano, era evitata come un luogo magico e pauroso. Comunque, fatta la debita parte di merito all'ardimento dei due viaggiatori tedeschi, al pescatore Angelo Ferraro detto il "Riccio" che li guidò, al notaio Giuseppe Pagano che li corroborò di citazioni latine e di buon vino e all'asinaio che caricò le tinozze, il fuoco greco e quanto occorse per l'esplorazione, il merito principale fu quello di averle dato un nuovo nome di battesimo: Grotta Azzurra, un nome che doveva risolversi, e si risolse, in una serie di innumerevoli descrizioni entusiastiche e più o meno ditirambiche, di litografie colorate, di cartoline che hanno finito per tingere d'azzurro tutte le mostre dei ricordi di Capri. Certo è che una fortunata coincidenza di condizioni geologiche e speleologiche ha creato il duplice incantesimo della grotta. Lo sprofondamento in età geologica di una caverna di 15-20 metri al di sotto dell'attuale livello del mare e l'occlusione d'ogni altra fonte diretta di luce all'infuori di quella dello stretto pertugio d'entrata, hanno servito a dare alla cavità dello speco e al bacino d'acqua che vi è racchiuso, un diverso magico colore. Da un lato la luce solare, penetrando per via subacquea attraverso il velo d'acqua marina, si sprigiona e si rifrange colorata d'azzurro sulle pareti e sulla volta speco: dall'altro, rifrangendosi sul fondo bianco e sabbioso della grotta, dà all'acqua una strana opalescenza, per cui i corpi che vi s'immergono s'imperlano, ad ogni vibrazione, di luce argentea. Fin ai primi esploratori apparve chiaro che i Romani non solo conoscevano la Grotta Azzurra, ma l'avevano fatta oggetto di particolari ricerche di cui non si sapeva peraltro indicare la vera natura. E' necessario aggiungere che, scartata l'ipotesi che uno sprofondamento di 6 o 7 metri si sia verificato dall'età romana ad oggi, le condizioni erano al tempo di Augusto e di Tiberio le stesse di oggi. E un attento esame delle tracce di opera romana all'interno e delle costruzioni antiche all'esterno, possono aiutarci a intendere cosa fosse per i Romani la "Grotta Azzurra". Pochi visitatori tra l'incantesimo della luce e la brevità del tempo concesso dalla ressa dei turisti, si avvedono che lungo la parete di contro al foro di entrata, la Grotta si prolunga in una cavità rupestre sopraelevata di poco più di un metro sul livello dell'acqua e che a quella cavità si accede da un piccolo scalo d'approdo coperto d'opera cementizia romana, mentre nella parete di roccia s'apre, di contro all'ingresso, un vano quadrato, a guisa di finestra, accessibile da un gradino tagliato evidentemente dalla mano dell'uomo. Lo scalo roccioso e il vano quadrato sembrano fatti a bella posta per dar modo di sbarcare e contemplare riposatamente da terra quella divina e tersa coppa di azzurro. La cavità rupestre si prolunga invece nelle viscere del monte in un cunicolo sempre più angusto e tortuoso, entro il quale gli scheggioni ammassati ai lati fanno supporre che, aperto dai Romani per la ricerca di una vena d'acqua, fosse stato quel cunicolo abbandonato dopo una faticosa e infruttuosa esplorazione. Al di sopra e all'esterno della Grotta, sull'ultimo gradino del monte, si osservano i ruderi di una piccola villa romana (la villa di Gràdola o Gradelle) con vari ambienti e alcune cisterne, simile per forma e strutture alle altre ville d'età augustea-tiberiana. I Romani dunque, non solo conobbero la "Grotta Azzurra" e verosimilmente ad essi si deve la stretta fessura per cui è possibile oggi penetrarvi ma, costruendo una piccola villa al di sopra, vollero rendere la visita più comoda e riposante in un luogo che ancora oggi appare impervio e selvaggio e senza riparo neppure per piccole imbarcazioni. Oltre a ciò tentarono, senza riuscirci, di captare qualche vena d'acqua per crearvi uno di quei vivai di pesci che erano alimentati da acqua doce e marina. Ma poichè la "Grotta Azzurra" e la villetta di Gràdola sono sottoposte alla grandiosa "Villa di Damecuta" che sovrasta il promontorio dell'Arcèra, è ovvio supporre che la Grotta con il suo scalo di Gràdola e la soprastante Villa di Damecuta formassero un unico complesso in cui la "Grotta Azzurra", il modello a cui si ispirarono i Romani nell'impinato e nella decorazione degli altri Ninfei rupestri dell'isola, imitando con il rivestimento a mosaico delle pareti e delle volte, il colore inimitabile di quello speco che era naturale sede di Glauco e del suo azzurro chiomato corteo di Nereidi. (Tratto da "Storia e Monumenti" di Amedeo Maiuri)

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