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Il santuario di San Michele Arcangelo

  • Via Reale Basilica, 71037 Monte Sant'Angelo FG, Italia
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Luoghi religiosi
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Description

L’origine del Santuario di San Michele si può collocare tra la fine del V e l’inizio del VI secolo. Antiche fonti scritte ne rendono testimonianza: una lettera inviata dal papa Gelasio I nel 493/494 a Giusto, vescovo di Larino, un’altra lettera dello stesso Pontefice ad Herculentius, vescovo di Potenza (492 – 496) e ancora una nota riportata dal Martirologio Geronimiano sotto la data del 29 settembre. Ma è il Liber de apparitione santi Michaelis in Monte Gargano, la cui stesura risale all’VIII secolo, che ricostruisce in maniera precisa e suggestiva insieme i fatti miracolosi che diedero origine al culto dell’Arcangelo Michele sul Gargano. Esso è legato alla memoria di quattro apparizioni avvenute nel corso dei secoli, che sono narrate con straordinaria e commossa vivacità e recano testimonianza dei fatti miracolosi che qui accaddero. La sacra Grotta è stata prescelta da secoli come meta di pellegrinaggi, luogo di preghiera e soprattutto di riconciliazione con Dio. Le apparizioni infatti sono un segno, un invito rivolto all’uomo perché si inchini davanti alla Maestà Divina. Nell’arco di quindici secoli di storia, i cristiani da tutto il mondo sono venuti al Santuario del Gargano, “casa di Dio e porta del cielo”, per ritrovare pace e perdono nelle braccia amorevoli del Padre e onorare l’Arcangelo S. Michele. Entrati attraverso il portale romanico, ci troviamo all’interno della celeste Basilica, nel luogo prescelto da S. Michele. Da tutta l’atmosfera del sacro luogo promana un fascio oscuro e misterioso che si materializza nel gioco di luci e ombre tra gli anfratti e nella scintillante presenza dell’urna che racchiude la statua la statua di S. Michele Arcangelo di una espressività incomparabile. Si insinua nel cuore un desiderio prepotente di abbandono al perdono divino: è l’invito dell’Arcangelo guerriero a vincere le nostre debolezze e a riprendere il cammino, forti del perdono di tutti i nostri peccati. La Chiesa, non consacrata da mano umana, è ben distinta in due parti: una appena si entra, costruita in muratura, chiamata la Navata Angioina e un’altra allo stato naturale, una spelonca aperta dalla natura stessa nella roccia calcarea. Appena entrati, a destra, troviamo un piccolo altare, eretto in onore di S. Francesco: ne ricorda la sua visita al nostro Santuario, compiuta nel lontano 1216. Come si tramanda, S. Francesco, arrivato a Monte Sant’Angelo per lucrare il perdono angelico, non sentendosi degno di entrare nella Grotta, si fermo in preghiera e raccoglimento all’ingresso, baciò la terra e incise su una pietra il segno di croce in forma di “T” (tau). Nel linguaggio biblico il segno “T” era simbolo di salvezza. Da questo racconto possiamo comprendere quanta importanza attribuisse il Poverello d’Assisi a questa Grotta per la speciale dignità del luogo sacro e in ordine alla salvezza delle anime. Superato di pochi passi l’altare di S. Francesco, si apre davanti al visitatore uno spettacolo unico nel suo genere: la caverna, dall’irregolare volta rocciosa, che nell’arco dei secoli ha accolto milioni di pellegrini, il luogo dove tanti peccatori hanno ritrovato il perdono e la pace. Li, il credente sente come il figliol prodigo che ritorna alla casa del Padre, guidato e protetto da S. Michele. L’interno di questa grotta, consacrata non da mano umana ma dallo stesso San Michele (come ha dichiarato in una sua apparizione), testimonia con i suoi diversi elementi la secolare storia. Possiamo qui ammirare le seguenti opere: Nel presbiterio: la statua di S. Michele protettore di questo luogo sacro, l’opera di Andrea Contucci detto anche il Sansovino (1507), scolpita nel marmo bianco di Carrara che rappresenta il Principe delle milizie celesti, in atteggiamento da guerriero che calpesta satana sotto le sembianze di un mostro, la cattedra episcopale (prima metà del secolo XI), la statua di S. Sebastiano (XV secolo), Accanto al presbiterio: l’altare della Madonna del Perpetuo Soccorso (uno dei più antichi altari della Celeste Basilica), l’altorilievo della SS. Trinità, la statua della Madonna detta di Costantinopoli, il bassorilievo di S. Matteo apostolo ed evangelista. In una piccola grotta, chiamata del Pozzetto, un simulacro in pietra di S. Michele del sec. XV Una cavità della Grotta chiamata la cava delle Pietre in uscita di emergenza. Proseguendo, osserviamo il trono reale e due altari con baldacchino: del Crocifisso e di S. Pietro. LE CRIPTE La parte più suggestiva delle antiche costruzioni del santuario sono le Cripte. Questi ambienti risalgono all’epoca longobarda e sono ritornati alla luce in seguito agli scavi promossi da Mons. Nicola Quitadamo negli anni 1949-1960. Una volta servivano come l’ingresso alla Grotta e furono definitivamente abbandonati nel secolo XIII, all’epoca delle costruzioni angioine. Numerose iscrizioni lungo le pareti delle “cripte”, talune a caratteri runici, testimoniano il notevole afflusso dei pellegrini provenienti da tutta l’Europa fin dall’epoca longobarda. Le cripte sono composte da due ambienti le cui strutture dovettero realizzarsi in due fasi immediatamente successive l’una all’altra. Alcune iscrizioni murarie identificate nel 1974 hanno reso possibile datare le costruzioni tra la fine del VII e l’inizio del secolo VIII. Le cripte, lunghe circa 60 metri, si sviluppano fin sotto il pavimento della Basilica. La prima parte delle ha la forma di una galleria porticata, articolata in otto campate rettangolari. In questo suggestivo ambiente, sono state esposte diverse sculture provenienti dagli scavi del santuario, dall’ex chiesa di S. Pietro e dalle rovine dell’abbazia benedettina di S. Maria di Pulsano. Tutti i reperti qui esposti sono databili dal secolo VII-VIII fino al secolo XV. Visitando il museo si ammirano diverse sculture che testimoniano ancora una volta la gloriosa storia di questo luogo. Passando attraverso l’apertura scavata nel muro di sostegno, ci troviamo nell’altro ambiente di epoca longobarda, (con evidenti tracce delle costruzioni pre-longobarde) diviso in due ampie navate, scandite da una fuga centrale di tre arcate a tutto sesto, e delimitato a nord e sud da altrettante arcate sostenute da massicci pilastri. Le navate erano occupate dalle scale: quella a destra, ad andamento curvilineo, è conservata integralmente nel suo percorso; quella di sinistra, ad andamento rettilineo, è andata distrutta durante i lavori. Le due scale terminavano su una piccola platea, delimitata ad est da un’abside, con un altare a blocco in conci squadrati, con tracce di numerose iscrizioni. Alla sinistra dell’altare è stato ritrovato, protetto dalle lastre di pietra, un affresco chiamato il Custos Ecclesiae che si può attribuire al secolo X. Dai resti degli affreschi e dalle numerose iscrizioni murarie, possiamo comprendere l’importanza del Santuario, specie per i Longobardi. Questi ambienti sono stati separati definitivamente dalla Sacra Grotta verso gli anni 1270-1275, quando gli Angioini, con le nuove costruzioni, diedero al Santuario l’assetto attuale, sacrificando le precedenti opere innalzate in onore di San Michele Arcangelo.

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