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Le vecchie miniere di zolfo a Tufo

  • 83010 Tufo AV, Italia
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Description

Era l’anno 1866 quando Il sig. Francesco Di Marzo, narra una leggenda, vide due pastorelli che davano fuoco ad una pietra. Il fatto inconsueto lo distrasse dall’amena passeggiata di signore di provincia. In Francesco il sangue d’imprenditoria fu destato sia dalla vista che dall’odore di quello strano fenomeno: zolfo! Sceso da cavallo, si rese conto del giacimento, quasi affiorante, che il fiume aveva pazientemente atteso, per milioni d’anni, di rivelare a lui, rodendo l’antico letto marino in cui era contenuto il tesoro. Era un uomo spiccio, deciso, e immaginò una miniera tenendo in mano una “micca”, - cosi la chiamano i minatori , in italiano si dice ganga – cioé un sasso giallo-grigiastro fatto di zolfo, gesso e argilla. Così negli anni a Tufo A Tufo i Di Marzo promossero non solo uno sviluppo industriale ma al tempo stesso numerose iniziative sociali quali il cinematografo, l’asilo, la società operaia, e con esse nacque anche una nuova coscienza dei diritti e dei doveri, del senso civico e dell’essere Organismo Sociale; con le prime strutture scolastiche si apprendeva e si usciva dall’isolamento culturale e sociale. l giacimento minerario di zolfo è sulla riva destra del fiume Sabato una zona geologicamente diversissima dalla vicinissima sponda sinistra. Di qua arenarie, puddinghe dovute all’azione dei fiumi, e qualche blocco di tufo dovuto ad antiche attività vulcaniche, di là il massiccio calcareo dell’Appennino sollevatosi sull’antico mare. La zona mineraria è ristrettissima quasi come se miliardi di organismi marini avessero eletto un fiordo per la loro vita e morte: millenni e millenni di organismi in decomposizione hanno derivato lo zolfo, secondo un complicato schema chimico-organico, con riduzioni progressive dalle sostanze più complesse. Il sito è quasi equidistante tra la città di Avellino e quella di Benevento e la presenza del fiume (una volta semi-navigabile, visto che i primi macchinari furono portati attraverso di esso) comportava quattro conseguenze: l’attività estrattiva era avvantaggiato dalla secolare erosione dovuta all’acqua che aveva causato l’affioramento di minerale nella parte alta della collina, il che, oltre a favorirne la scoperta, comportò che i primi lavori di estrazione del minerale avvenissero a cielo aperto; la possibilità di utilizzare fiume e torrenti affluenti come forza lavoro;permeabilità viaria antica e pre-romana (via Antiqua Maior) la possibiltà di sfruttare la pendenza dolce per attrezzare i luoghi di una ferrovia a servizio dell’attività estrattiva. La linea ferroviaria fu infatti appaltata, nel 1881, dopo lunghe battaglie parlamentari dell’on. Donato Di Marzo. La cultura contadina era sempre presente anche nel lavoro in miniera a tal punto da chiamare “coltura” la quantità di zolfo estratta in un determinato periodo lavorativo che, in genere, finiva intorno a giugno di ogni anno con la vendita del prodotto raffinato. Inoltre, come è naturale che succedesse, ognuno portava con sé il proprio “know-how” personale derivante dalla precedente attività, contribuendo così a migliorare fattivamente, dall’interno, l’organizzazione dello Stabilimento alla luce della sua esperienza. Ovvero: si trasferivano nella fabbrica la propria abilità artigiana. Un esempio tangibile fu il Mulino di trasformazione dello zolfo relativo alla miniera di Tufo e conosciuto a buon titolo con il nome “Mulino-Giardino”: esso era immerso nel verde e completamente integrato nell’ambiente circostante; all’interno della sua cinta muraria vi erano alberi e giardini che rendevano meno pesante il lavoro e l’aria più respirabile. Era una struttura completamente autosufficiente, una vera e propria cittadella ove lavoravano falegnami, fabbri, meccanici, preparatori di sacchi, elettricisti. I sacchi ripieni venivano poi pesati e trasportati, all’inizio in spalla o in testa, verso i carri trainati da cavalli, i “traìni” che giungevano dalle Province vicine e dalla Puglia; in seguito il prodotto venne trasportato su rotaia e poi con i primi mezzi motorizzati; la strada ferrata collega tuttora Tufo e Altavilla con Avellino, Benevento, Napoli e Salerno. Il mercato, inizialmente, interessava i paesi gravitanti intorno a Tufo, per poi ampliarsi notevolmente, investendo un’area che comprendeva tutta la Campania. L’inizio del 1900 e la ferrovia segnavano un miglioramento del personale, quindi un aumento di produzione considerevole i cui benefici erano, però, totalmente neutralizzati dai sempre maggiori costi derivanti dalla profondità delle escavazioni. Il mercato tuttavia si espandeva e lo zolfo era richiesto soprattutto per la lotta ai parassiti e alla malattia delle viti. Il secondo dopoguerra, oltre alle difese sindacali e l’applicazione dei contratti moderni di lavoro, portò con se i germi della crisi, perché c’era la concorrenza dello zolfo americano che veniva estratto a costi competitivi. Per ragioni di inquinamento, poi, le raffinerie di petrolio furono costrette ad estrarre lo zolfo, che, essendo un sottoprodotto della raffinazione del petrolio, si ottenne a costi bassissimi e quindi la concorrenza cominciò ad essere insostenibile. Dal 1966 in poi, si cominciò ad avvertire la crisi e, a poco a poco, pur potendo ancora sfruttare la miniera, si cominciò a diminuire il lavoro e, per non licenziare nessuno, la produzione calò gradualmente; man mano che il personale andava in pensione non veniva rimpiazzato. Le miniere di Tufo hanno conservato un’attività di rilievo fino agli inizi degli anni ’60 e l’estrazione è continuata fino al 1972. La miniera aveva occupato, quando si lavorava a regime, quasi trecento operai; si scese gradualmente a settanta e poi chiuse con sette operai, nel 1983.
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