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Seppellimento di Santa Lucia

  • Via Pompeo Picherali, 4, 96100 Siracusa SR, Italia
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Arte, Teatri e Musei
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Michelangelo Merisi, detto il “Caravaggio”, venne a Siracusa nell’Ottobre del 1608 fuggendo dal Carcere di Malta. Probabilmente fu aiutato nella fuga dal figlio della Marchesa Colonna che si travava a Malta in qualità di comandante della flotta militare: la famiglia Colonna, ed in particolare la Marchesa, aveva da sempre protetto e sostenuto Michelangelo Merisi ed inoltre si stava impegnando affinché il papa concedesse la grazia a Caravaggio per l’assassinio di Ranuccio Tommasoni (1606). La presenza di Caravaggio a Siracusa però è avvolta nel mistero: non si sa infatti perché venne a rifugiarsi proprio in questa città né perché realizzò uno dei suoi più grandi capolavori proprio per la Basilica di Santa Lucia al Sepolcro. A questo proposito esistono varie ipotesi. - Secondo Di Silvestro il collegamento tra Malta e Siracusa è un frate , Frà Raffaele da Malta, che proprio in quegli anni era guardiano del convento della Basilica: dunque Caravaggio potrebbe aver realizzato la pala d’altare per ringraziarlo per l’accogliente o su richiesta del frate. A proposito della committenza esistono però molte altre ipotesi: - Secondo Susinno (1724), Caravaggio ottenne la commissione dal celebre di Siracusa grazie all’aiuto dell’amico e collega Mario Minniti, celebre pittore siracusano con il quale Caravaggio aveva lavorato a Roma. Dunque Mario Minniti potrebbe rappresentare la ragione della presenza di Caravaggio a Siracusa. In realtà non è stato rintracciato il documento di commissione ma questa ipotesi potrebbe essere giustificata dal fatto che proprio in quegli anni il senato provvedeva al restauro della Basilica di Santa Lucia extra moenia e che pochi anni prima (1605), in uno slancio devozionale, aveva donato alla Basilica delle reliquie della Santa e stava raccogliendo la somma necessaria a realizzare il simulacro argenteo di Santa Lucia. - Il Capodieci invece sostiene che la commissione dell’opera giunse a Caravaggio dal vescovo Orosco II. Questa ipotesi però andrebbe scartata dato che nel 1608 Orosco II era già morto da sei anni. Il vescovo che era in carica all’epoca del soggiorno di Caravaggio a Siracusa era Giuseppe Saladino (dal 1604 al 1611). Però si può giustificare l’errore del Capodieci per il fatto che si deve proprio all’impegno del vescovo Orosco II il rinnovato slancio devozionale del senato nei confronti di Santa Lucia, devozione che si concretizzò nelle varie iniziative dell’epoca. Dunque Orosco II potrebbe essere considerato un committente indiretto in quanto promotore delle iniziative prese dal senato come il restauro della Basilica e probabilmente anche la commissione del dipinto. - Secondo un’altra ipotesi la commissione della tela avvenne da parte di Vincenzo Mirabella erudito ed esperto di antichità nonché amico di Caravaggio. Esistono documenti che testimoniano che a partire dal 10 Gennaio 1590, Mirabella versava al monastero della Basilica una ingente somma di denaro (10 onte). Dunque questo particolare legame con la Basilica ed il monastero lascia intuire una notevole devozione del Mirabella verso Santa Lucia perciò è plausibile che sia stato lo stesso Mirabella a commissionare l’opera a Caravaggio. Nella grande tela composta da più pezze di canapa a trama particolarmente fitta, i toni dominanti sono quelli caldi e pacati delle latomie siracusane. La scena è un dramma rituale in un ambiente che contemporaneamente è teatro, catacomba e latomia. Una schiera di personaggi, alcuni dolenti, la mano e la testa del vescovo benedicente, un armigero, due fossori, la vecchia inginocchiata presso il corpo della martire distesa a terra col capo riverso e originariamente staccato dalle spalle. La figura centrale del diacono, corifeo con le dita intrecciate all’altezza dell’inguine, indossa le uniche note salienti della tela: cinabro e lacca di garanza per il mantello e l’abito color porpora. Lo stesso colore indossato da chi pronunciava il giuramento nel tempio di Kore protagonista del sicilianissimo mito della fanciulla rapita da Ade, che viene trasportata nel sottosuolo, nel regno dei morti, ma per ritornare poi periodicamente sulla terra determinando così l’alternarsi delle stagioni. La vecchia inginocchiata, unico personaggio disperato, potrebbe essere la vedova Eutiche, madre di Lucia , la cui disperazione è troppo simile a quella di Demetra per la discesa della figlia nel regno dei morti. La terra irrorata dal sangue copioso del martirio, come latte versato nei giardini di Adone avrebbe propiziato la germinazione sotterranea: seppellimento come preludio per una rinascita, ossia per la resurrezione. Rinascita cui potrebbe geneticamente alludere anche l’ovale determinato dalle sagome dei due scavatori, nel quale è contenuto il piccolo corpo di Lucia. Ma la posizione, specialmente per il fossore di destra, è quella di due pescatori dipinti da Giorgio Vasari, che tornano alla memoria di Caravaggio perché nel linguaggio popolare del medioevo l’alchimista veniva paragonato allo scavatore o al pescatore. Alchimie ripescate dai discorsi uditi tra gli alambicchi del cardinale Bourbon del Monte, mecenate romano di Caravaggio al quale, undici anni prima aveva dipinto la volta del camerino del laboratorio d’alchimia con una raffigurazione che allude al processo trasmutativo della materia fino allo stato luminoso della pietra filosofale. Oltre che per il riferimento vasariano nel personaggio di destra, una conferma sulla funzione alchimistica dei fossori in quello di sinistra: i tratti somatici rivelano un’identità con il ritratto di Alof de Wignacourt dipinto dallo stesso Caravaggio. Un omaggio al Gran Maestro dell’Ordine di Malta, cui probabilmente doveva la sua fuga dalla prigione maltese. Se la funzione effettiva del personaggio non fosse quella dell’alchimista, piuttosto che un omaggio sarebbe stata infatti una gravissima offesa raffigurare un tale personaggio nelle vesti di un becchino. Invitato a temperare il dramma che era riuscito a far rivivere in tutta la sua crudezza, ricomponendo la testa decapitata in una ferita che attraversa il tratto visibile del collo della santa, a Caravaggio non deve essere dispiaciuto troppo contenerlo negli esclusivi significati metaforici. Ricomporre col pennello la decapitazione in una piccola ferita lo avrebbe fatto sentire partecipe, anche operativamente, di quel processo di rigenerazione prima semplicemente alluso e delegato.

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